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Immagine del redattoreClinica Veterinaria Cavaria

LA DISFUNZIONE COGNITIVA NEGLI ANIMALI ANZIANI: IL CANE E IL GATTO A CONFRONTO

IL CANE




Quando il cane diventa anziano è inevitabile che l’età si manifesti con sintomi comportamentali.


Dietro a questi sintomi ci sono delle modificazioni a livello cerebrale, e sono talmente numerosi e vari da essere raggruppati in una vera e propria sindrome.


Se pensando a queste caratteristiche avete pensato all’alzheimer (alla demenza senile) nella specie umana, non siete lontani dalla verità, infatti questi problemi accomunano diversi mammiferi, uomo compreso.


Si tratta di una patologia sicuramente sottostimata negli animali, e questo dipende dalla tendenza a pensare che un cane anziano presenti inevitabilmente i comportamenti che la contraddistinguono.


Ma da cosa sono causati i sintomi della disfunzione cognitiva?

La causa è ormai nota, e accomuna la patologia in cane e uomo: si tratta della deposizione di alcune sostanze che causano un danno ossidativo a livello cerebrale, normalmente contrastato da enzimi presenti nell’organismo, che per varie cause (tra cui l’invecchiamento cellulare) non possono svolgere il proprio compito, causando così una deposizione di aggregati proteici.


Le proteine che partecipano a questo processi sono praticamente identiche in cane e uomo, sebbene con caratteristiche morfologiche differenti, e le sedi di deposizione nel cane sono principalmente l’ippocampo e la corteccia parietale.


Il quadro di declino delle capacità cognitive che si presenta con l’avanzare dell’età è ulteriormente compromesso (o, addirittura, in alcuni casi migliorato) da molti fattori ambientali che influiscono sull’organismo.


Inoltre l’età avanzata porta spesso con sé una concomitante serie di patologie sistemiche che influiscono sulla vitalità delle cellule nervose compromettendola: problemi cardiaci, ipertensione, anemia, sono spesso responsabili di condizioni di carenza di ossigeno, a cui i neuroni sono particolarmente sensibili; queste condizioni cliniche devono essere prese in considerazione nella valutazione della gravità e della progressione della Disfunzione Cognitiva.


Ma quali sono i sintomi che possono farci sospettare una disfunzione cognitiva?


I primi sintomi, più visibili per i proprietari, riguardano una sorta di disorientamento: anche gli ambienti familiari possono, d’un tratto, sembrare sconosciuti. Tale disorientamento non riguarda necessariamente l’ambito spaziale, ma anche quello temporale.

Il cane sembra non riconoscere stanze e spazi dove è sempre vissuto, e manifesta comportamenti ripetuti e/o non finalizzati. In alcuni casi sembra inoltre non “comprendere” la provenienza, ad esempio, di un richiamo.


Non è raro che alcune manifestazioni possano far pensare ad alterazioni puramente neurologiche (per esempio guardarsi attorno smarrito, rimanere bloccato negli angoli o dietro i mobili, cercare di usare le porte, nel verso sbagliato, essere incapace di aggirare o scavalcare semplici ostacoli).


La percezione del tempo viene totalmente stravolta: il cane chiede di uscire all’aperto per poi rientrare per chiedere di essere nuovamente portato fuori oppure può richiedere del cibo e continuare a chiedere nonostante sia già stato sfamato.


Il cambiamento del ciclo sonno-veglia è un sintomo comune e, tra tutti, forse quello che si ripercuote in modo più consistente sulla routine e sulle dinamiche del gruppo famiglia.

In alcuni casi si ravvisa un vero e proprio stravolgimento delle attività, che da diurne diventano notturne: i periodi di sonno aumentano nelle ore diurne e la fase REM del sonno si accorcia in modo sensibile.

Spesso la difficoltà più grande da affrontare per un proprietario diventa la gestione dei risvegli notturni che possono o meno comprendere delle richieste (di cibo o interazioni).


Il rapporto cambia

Un’altra spiacevole manifestazione riguarda la sfera relazionale: cani da sempre portati alla richiesta di contatto fisico, di punto in bianco possono perderne interesse, a partire dal comportamento di “bentornato a casa”.

In alcuni casi il nostro “vecchietto” tende a isolarsi e, se disturbato, in alcuni casi può comportarsi in modo reattivo o aggressivo sebbene non abbia mai mostrato questi atteggiamenti prima.


Questa situazione può dipendere o essere associata a deficit di memoria: il cane può faticare a ricordare nozioni apprese in passato, e a interpretare correttamente nuovi stimoli acquisendo nuove competenze e a processare informazioni per scegliere il comportamento più adatto in base alla situazione in cui si viene a trovare.


I soggetti colpiti non sono più in grado di riconoscere persone e animali familiari, non rispondono più correttamente a causa della morte per apoptosi delle cellule nervose.

Se è presente un deficit nella memoria rumori e situazioni abituali, animali e persone familiari possono improvvisamente scatenare risposte di paura o indurre nel soggetto uno stato di ansia generalizzata. Qualunque aspetto della vita quotidiana può a questo punto rappresentare una novità ed essere percepito come un’incognita. Ogni cambiamento può esacerbare la sintomatologia e rendere evidente un deficit cognitivo fino a quel momento latente o visibile solo per segni comportamentali poco visibili.


Le manifestazioni più comuni legate a stati di ansia e paura sono isolamento, immobilità, fuga o fenomeni di aggressività, ipervigilanza, iperreattività agli stimoli, aumento dell’attività motoria (pacing) e dell’esplorazione ambientale, sono segni altrettanto significativi.

In alcuni casi invece, individui dalla natura fortemente sociale possono mostrare iperattaccamento, e richieste di interazioni e attenzioni con manifestazioni assimilabili ad ansia da separazione: comportamenti anomali, quali eccessiva vocalizzazione, eliminazione inappropriata, distruttività, tentativi di fuga quando il cane viene lasciato da solo.


Le alterazioni della sfera relazionale possono anche essere molto lievi, tanto che spesso solo i componenti del gruppo famigliare sono in grado di notarle.

Il deficit cognitivo può essere inoltre responsabile di disturbi della sfera eliminatoria, riguardo la quale ci può essere una vera e propria regressione: il cane potrebbe ricominciare a eliminare le sue deiezioni in punti casuali, incluse le aree di riposo o di alimentazione, in questo caso è sempre bene emettere una diagnosi differenziale con altre patologie legate all’età quali: malattie metaboliche che causano poliuria e polidipsia; incontinenza indotta da varie cause; disturbi comportamentali correlati all’ansia.


Anche il livello di attività potrebbe subire un aumento (fino a una vera e propria iperattività) o, al contrario, il cane potrebbe andare incontro a letargia e soprattutto diminuire i comportamenti di esplorazione: il proprietario si accorge del venir meno della consueta curiosità, dell'atteggiamento di interesse verso il mondo, della proattività.


A queste manifestazioni qualche volta si aggiunge una vocalizzazione fuori contesto, associata al disorientamento, ma anche a forme di ansia o fobie che spesso risultano essere delle novità nel comportamento del cane di casa.


Al di là di patologie in atto inoltre, l'appetito può subire delle variazioni, e non è raro vedere i nostri vecchietti avventarsi sulla ciotola in modo molto vorace e talvolta chiedere cibo più volte, incuranti di quantità e orari o al contrario diventare poco interessati al cibo fino ad arrivare all' inappetenza.

I segni clinici della disfunzione cognitiva vengono generalmente riassunti usando l’acronimo DISHA: Disorientamento, alterazione delle Interazioni sociali; alterazione del ciclo Sonno-veglia; eliminazione inappropriata (House soiling); alterazione dei livelli di Attività.


Ma come possiamo diagnosticare un deficit cognitivo?

Il mezzo diagnostico più utile per porre il sospetto di Disfunzione Cognitiva è senza dubbio un’accurata raccolta della storia clinica e comportamentale del soggetto in questione.

Non esistono ancora linee guida standardizzate, ma ci si può orientare prendendo in considerazione tutti gli aspetti sopradescritti.


Grande attenzione deve essere data al momento d’insorgenza dei segni comportamentali ed alla loro progressione: la diagnosi deve essere posta quando vengono identificati comportamenti anomali tipici di degenerazione cognitiva, insorti in età avanzata, ed eventualmente peggiorati con l’invecchiamento del soggetto.

Possiamo ritenere che il nostro sospetto sia fondato in presenza di almeno due dei sintomi sopradescritti.

Il sospetto è ancor più fondato se i tipici segni si presentano in associazione di due o più contemporaneamente.


Nella medicina veterinaria si procede escludendo ogni altra malattia potenzialmente responsabile di un quadro clinico simile ricordandosi che altre patologie concomitanti non possono escludere la disfunzione cognitiva essendo, gli anziani, spesso affetti da più patologie, che prese singolarmente non causano alterazioni comportamentali, ma in associazione tra loro possono fare la differenza da questo punto di vista comportamentale.


Pensiamo ad esempio ai problemi articolari o dentali o a tutte quelle patologie responsabili di dolore: causano reticenza alla manipolazione fino a generare vere e proprie alterazioni sociali che possono arrivare al ritrarsi, o peggio al reagire aggressivamente.

Allo stesso modo, se il cambiamento di comportamento riguarda la sfera eliminatoria è doveroso escludere problemi a carico di alte o basse vie urinarie fino a pensare a patologie che agiscono modificando in modo sensibile l’assunzione di acqua.

I deficit che riguardano la sfera neurologica invece, possono mimare sintomi da ipertensione sistemica, insufficienza renale o patologie cardiache.

Per fare diagnosi è dunque indispensabile una visita clinica, completa, se necessario, di indagini diagnostiche collaterali.


Le patologie concomitanti devono essere quindi messe sotto terapia medica e rivalutate dopo il tempo adeguato, al fine di poter escludere altro dal deficit cognitivo.


Come intervenire?

Alcuni studi condotti sull’uomo e sul ratto dimostrano come l’esercizio fisico costante aiuti a contrastare i deficit cognitivi, riducendo la deposizione di quelle sostanze responsabili di questo problema. Uno stile di vita attivo, una costante stimolazione mentale ed una alimentazione appropriata e ricca di antiossidanti, associati a socializzazione e stimolazione sensoriale, aiutano a rispettare i tempi necessari di riposo e sembrano essere anche una buona prevenzione al decadimento mentale.


Queste attività potrebbero avere un ruolo fondamentale anche nel trattamento e nella prevenzione delle disfunzioni cerebrali del cane anziano.


IL GATTO



L’ invecchiamento è un processo lento, anche se spesso, nei nostri animali, la sintomatologia ha un andamento che ai nostri occhi può sembrare quasi improvviso.


Nei gatti intorno ai 6-7 anni inizia un lento processo con alterazioni della forma si alcuni neuroni, che si traducono in segni visibili dai 10 anni di età, con un evidente declino delle capacità motorie e cognitive.


Come accade per il cane, anche nel gatto la disfunzione cognitiva è data da una deposizione di sostanze a livello cerebrale, soprattutto in alcune aree definite.


Alcuni cambiamenti facenti parte del quadro della disfunzione cognitiva, possono essere considerati normali comportamenti che i gatti anziani presentano: ad esempio l’aumento della vocalizzazione, la diminuzione della socialità inter ed intraspecifica con i membri del gruppo famiglia, e alcuni aspetti legati al livello di attività: non è inconsueto associare all’età avanzata una diminuzione del comportamento perlustrativo e predatorio, oppure la diminuzione dell’assunzione di cibo. La presenza di queste modificazioni comportamentali non è sufficiente a definire una sindrome come quella da deficit cognitivo del gatto anziano.

Molte alterazioni comportamentali cui il proprietario si trova a far fronte vengono quindi considerate cambiamenti inevitabili legati all'età.


Di solito ci si rende conto di essere di fronte a un problema quando è l'equilibrio famigliare ad essere, ovvero quando alcuni comportamenti si ripercuotono in modo poco gestibile, sulla vita della famiglia.


I sintomi della disfunzione cognitiva che si ripercuotono sulla vita dei proprietari di gatti compromessi sono principalmente: la vocalizzazione fuori contesto, soprattutto la notte, cambiamento dell’interazione sociale con la famiglia umana, il cambiamento del ritmo sonno-veglia, l’eliminazione inappropriata, il disorientamento spaziale (vagare senza meta) e temporale, l’ansia, difficoltà di apprendimento e deficit di memoria.


Nei gatti di età superiore ai dieci anni, i sintomi più frequenti sono, nell’ordine:

  • Eliminazione inappropriata e marcature urinarie

  • Aggressione tra gatti conviventi

  • Aggressione nei confronti della famiglia

  • Vocalizzazione eccessiva

  • Irrequietezza

  • Overgrooming (ovvero esagerato lavaggio e toeletta del pelo)


Un sintomo, tanti perchè

Ognuno di questi comportamenti potrebbe avere cause diverse.


Prendiamo in considerazione, ad esempio l’eliminazione inappropriata: un gatto che non sporca nella sua cassetta potrebbe essere disorientato all’interno delle mura domestiche arrivando a dimenticarsi la posizione delle cassette. Oppure le modificazioni ambientali possono essere così destabilizzanti, da portare il gatto a posizionare delle marcature.

Il gatto potrebbe inoltre avere dolore: e non riuscire ad eliminare mantenendo la posizione corretta, oppure metterlo in correlazione alla cassetta ed evitare di entrarci dopo aver fatto un’associazione negativa.


La vocalizzazione eccessiva, che si concentra principalmente nelle ore notturne, è una condizione che mette alla prova i proprietari in modo evidente: svegliarsi di notte non è piacevole, e spesso la tendenza di questi gatti è quella di farlo più volte nell’arco di poche ore per trovare pace quando la famiglia si risveglia.

Anche dietro a questo sintomo però, le cause possono essere diverse: il gatto può provare dolore e non trovare pace nel sonno, oppure ricercare un supporto sociale nell’interazione con il proprietario, da cui il gatto può diventare dipendente.

A partire dai dieci anni d’età non è raro ravvisare un cambiamento delle capacità cognitive, con perdita della memoria a breve termine.


Esistono degli studi che mettono in correlazione alcune patologie (come l’Immunodeficienza Felina) con una forma di neuroinfiammazione, e quindi con dei sintomi sovrapponibili alla disfunzione cognitiva.


È dunque importante emettere delle diagnosi differenziali, che comprendono:

  • Osteoartrite

  • Ipertensione sistemica

  • Alterazione della funzionalità degli organi di senso

  • Malattie infettive quali FIV, FeLV, FIP

Il dolore cronico nel gatto è sottostimato e poco considerato.

Pare che il 90 % dei gatti sopra una certa età, soffra di osteoartrite, tra i cui sintomi possono essere proprio quelli presi in considerazione fino ad ora

  • Eliminazione inappropriata

  • Vocalizzi

  • Ricerca del supporto sociale

  • Isolamento sociale

  • Risvegli frequenti

Il dolore cronico mima e peggiora la degenerazione cognitiva.


Cosa fare?

È molto importante valutare la disfunzione cognitiva nell’ottica di una medicina preventiva: riconoscere tutti gli elementi che influiscono sull'età biologica (dal punto di vista fisico e psichico) il più precocemente possibile aiuta a migliorare le condizioni di un gatto affetto da disfunzione cognitiva.


Sebbene nel gatto non esistano ancora studi numerosissimi, la medicina umana e le pubblicazioni riguardanti alzheimer e demenza senile possono darci alcune indicazioni riguardo la condizione degenerativa con cui dobbiamo fare i conti, con vari livelli di gravità, da forme lievi (caratterizzati da difficoltà di memoria, concentrazione, disturbi del sonno) che se non identificati precocemente possono portare all'alzheimer.


Nei gatti, si stima che il 50% dei quindicenni abbia un deficit cognitivo grave.

Nella patogenesi di questa condizione, è di fondamentale importanza prendere in considerazione i fattori emozionali, lo stress causato dal mancato soddisfacimento di bisogni fisiologici ed etologici, da stati comportamentali patologici non trattati, da condizioni stressanti determinati da cambiamenti di ambiente (fisico e relazionale).


Il gatto è l’ambiente in cui vive, pertanto la distribuzione delle risorse chiave necessita di un’attenzione particolare, anche e soprattutto in queste circostanze.


Cosa intendiamo per risorse chiave?

  • Postazioni per il cibo

  • Postazioni di abbeverata

  • Cassette igieniche

  • Tiragraffi

  • Luoghi di riposo e di isolamento

  • Giochi


L’ambiente deve essere inoltre necessariamente verticalizzato: è una strategia per aumentare lo spazio, aderendo all’etogramma del gatto, che gestisce il movimento utilizzando le tre dimensioni.


Trattare il disagio emozionale parte anche dall’allenare la mente, con stimolazioni sensoriali mirate, della sfera olfattiva, visiva, tattile.

L’età avanzata del gatto non deve inoltre farci pensare che non ci sia necessità di esercizio fisico che, anzi, migliora (o mantiene) le condizioni fisiche, agendo contemporaneamente sulla componente psichica.


Aiutiamo sempre il gatto a mantenere il più possibile una routine inalterata, con almeno dei punti fermi durante la giornata, e attiviamoci con le misure di sicurezza che possono attenuare la difficoltà data dal disorientamento.


Esistono inoltre integratori e supporti farmacologi che il vostro medico veterinario potrà indicarvi, per aiutare il vecchietto di casa, motivo per cui consigliamo una visita annuale: prevenire è meglio che curare!

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